"Procedendo dunque
il nostro nuovo Cavaliere
parlava tra sè e diceva:
- Come dubitare che nei tempi avvenire
quando vedrà la luce la storia
delle mie celebri imprese ..."
Tre secoli dopo la fortunata opera diCervantes,
Miguel de Unamuno, il Professore, rilegge Don Chisciotte non come personaggio letterario ma come essere vero, attraverso la cui vita esemplare vengono esaltati quei valori religiosi, etici, anticonformistici che, sorretti da un coraggio e da una vitalità fuori dal comune, rendono la "follia donchisciottesca" più salutare di tanta borghese saggezza - per la sua funzione catartica di risvegliare negli uomini dall'animo assopito la coscienza della loro indipendenza, dignità e vocazione.
Di fronte alla frigida e infeconda "scienza dell'intelletto", degli uomini
"stupidi per eccesso di sensatezza, che pensano solo con la testa quando occorre pensare con tutto il corpo e con tutta l'anima", si erge in questo libro la follia, cioè la "scienza del cuore" ...
E, soprattutto, in Unamuno si tratta di Don Chisciotte, non del Cervantes; e di un Don Chisciotte del quale il Cervantes non aveva mai sospettato - e non avrebbe mai neppur potuto sospettare - l'esistenza.
"Si vedono ogni giorno cose nuove; le burle si trasformano in verità ..."
Ripercorrendo le parole di Carlo Bo:
“…Don Chisciotte si contrappone all'uomo vestito secondo le mode e le regole del presente, quindi nella fragilità e nella friabilità intime e così si veste con gli stracci dimenticati nei camerini del grande teatro delle finzioni di ieri...
Don Chisciotte è. Per vivere e correre le sue avventure gli basta la solitudine, quel suo sentirsi nella sua verità. A dispetto delle sue sconfitte, continua ad andare avanti e quando tentiamo di raffigurarcelo nella nostra anemica fantasia, ecco che ci balza davanti, quale appariva in una scena del film di Pabst dei primi anni Trenta...”
