Ultimo Nord, l'impatto del surriscaldamento al Polo


Le isole Svalbard, a circa 1300 chilometri dal Polo Nord, sono il luogo del pianeta dove gli effetti del surriscaldamento sono i più diretti e i più brutali. Negli ultimi anni la temperatura invernale  è aumentata di 10 gradi e ogni mese si misurano valori sempre più estremi. Le conseguenze sono drammatiche, per le duemila persone che vivono nell'arcipelago norvegese e per tutta la fauna specializzata alle condizioni artiche, dalla balena all'orso bianco e dalle renne selvatiche a alcune specie di straordinari uccelli marini.


Il reportage di Pietro Del Re

Regia di Enzo Aronica


pubblicato 3 MARZO 2017 su Rep.tv

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http://video.repubblica.it/natura/ultimo-nord-l-impatto-del-surriscaldamento-al-polo/269382/269827?ref=RHRS-BH-I0-C6-P2-S1.6#commenta



in collaborazione con

Reale Ambasciata di Norvegia a Roma e Arctic Frontiers di Tromso





Dal nostro inviato PIETRO DEL RE


LONGYEARBYEN (ISOLE SVALBARD) –

Adesso che il sole ha timidamente cominciato ad affacciarsi all’orizzonte, nell’ora e mezzo in cui rompe la notte artica la sua fragile luce colora ogni cosa di blu stupefacenti.

A queste latitudini estreme la chiamano la “blue season” e vorrebbero farne, assieme alle aurore boreali, un’attrattiva turistica invernale.

Ma chi è venuto fin quassù per ammirarla è costretto a restarsene in albergo perché alle isole Svalbard piove da giorni, anche se siamo in pieno inverno e se ci troviamo a soli 1300 chilometri dal Polo.

Infatti, l’arcipelago norvegese dove si contano la chiesa, l’università e l’ufficio postale più a nord del pianeta, è il luogo dove gli effetti del surriscaldamento sono i più evidenti e brutali.


«Negli ultimi anni, la temperatura è aumentata di 10 gradi, con conseguenze drammatiche per questo ecosistema»,  spiega Kim Holmen, geofisico e direttore del Norwegian Polar Institute di Longyearbyen, capoluogo di queste isole a cinque ore d’aereo da Oslo. «S’allunga anche la stagione più calda, con la neve che scompare settimane prima del solito e con i ghiacciai che fondono molto più in fretta, regredendo di media mezzo metro l’anno. Ma per valutare la rivoluzione in corso basta un dato: da ben 73 mesi registriamo temperature record, il che significa che ogni mese misuriamo valori assoluti più alti che in precedenza».


Le conseguenze di cui parla il professor Holmen sono molteplici, e non riguardano soltanto la scomparsa di una specie di merluzzo che non trova più rifugio sotto il ghiaccio perché il mare non ghiaccia più, o la decimazione delle renne che non riescono più a nutrirsi perché con l’alternarsi di pioggia e di freddo intenso gli arbusti che una volta scovavano sotto la neve sono adesso imprigionati nel gelo.

Lo sconquasso climatico funesta anche le circa duemila persone che ci vivono.

L’anno scorso, per esempio, dopo un’abbondantissima quanto insolita nevicata invernale a Longyearbyen, una valanga scivolata dalla collina che sovrasta il capoluogo ha inghiottito un intero quartiere.

C’è poi l’orso bianco, primo motivo di fierezza del luogo ma anche grande minaccia per gli esseri umani, tanto che una legge locale vieta di uscire dalla città disarmati, sebbene sia consentito sparargli soltanto se gravemente minacciati.

Fino a pochi anni fa, i tremila orsi polari che popolano le Svalbard s’avvicinavano molto raramente alle abitazioni. Oggi ciò avviene molto più di frequente, perché accanto a Longyearbyen c’è un ghiacciaio che con l’aumento delle temperature è diventato un luogo prediletto per i plantigradi.

Alla vigilia del nostro arrivo, un’orsa con due piccoli ha attraversato la città alle dieci di sera.

«Quando ciò accade cerchiamo di allontanarli senza spaventarli e se non ci riusciamo li sediamo e li trasportiamo lontano dal centro con un elicottero», dice Kjerstin Askholt, governatrice delle Svalbard.

«Facciamo di tutto per non stressarli pur cercando di scoraggiarli ad avvicinarsi alle case. Operiamo sempre con un esperto, e appena loro cominciano a scappare noi facciamo marcia indietro».

La ragione di tanta prudenza è che l’orso bianco ha una pelliccia che lo fa stare a suo agio anche a temperature proibitive. Ma se questo splendido predatore corre troppo in fretta e troppo a lungo perché spaventato da una snow-mobile o dalle pale di un elicottero, quando si ferma comincia a sudare.

E lui che non è programmato a fuggire di fronte a nessuno, muore di freddo.

Il professor Holmen è convinto della plasticità dell’ecosistema artico e della sua capacità di adattarsi anche ai cambiamenti più repentini.

«Con l’aumento delle temperature arriveranno tante altre specie alle Svalbard, e la vita per gli esseri umani sarà forse più gradevole. Dobbiamo però chiederci che ne sarà di altri animali particolarmente specializzati alle condizioni artiche che stanno perdendo il loro habitat. Mi riferisco alle balene, ai narvali, agli orsi bianchi e ad alcuni straordinari uccelli marini come il rarissimo gabbiano d’avorio, il cui numero nei prossimi anni diminuirà drasticamente ...



ULTIMO NORD

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